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mercoledì 13 giugno 2012

Silent Carrion - "Andras"

Full-lenght, Autoprodotto / Indipendente, 2012


Quando mi ritrovo in strada, circondato da una folla informe, terrificante nella sua passività, durante un tardo pomeriggio che da nulla viene caratterizzato, mentre il disco solare completa l’ultimo breve, troppo breve, tratto della sua parabola, negando all’occhio umano la visione dolce dei suoi tiepidi raggi, proprio nel momento in cui le prime ampie finestre, fessure ghignanti in facce smorte e stuccate si accendono, ecco, sento d’essere morto di nuovo. Nel mio stomaco rimbomba un’onda cieca, proveniente da profondità dimenticate dagli esseri umani, un boato marino che scuote antiche e polverose certezze.


Forse, però, a prestarle attenzione, è più di un suono avernale, di una tonante vibrazione. Nelle sue volute si nasconde un’ipnotizzante melodia, sghemba, maestosa, epica e decadente al tempo medesimo. Garruli giri di piatti scandiscono il formarsi di losche figure nella nebbia. Comincio a provare terrore, paura, infermità, paralisi. Il sentimento subdolo si diffonde come una piaga, un’epidemia. Mi manca il suolo: improvvisamente i muri si son fatti così vicini. Non ero all’aperto? Vi sono geometrie evocate dagli eoni rimossi dalla coscienza poco oltre l’orizzonte. Sconnessi frammenti di discussioni fra chitarre che probabilmente hanno obliato il significato di tonalità. Oppure semplicemente, nella libertà licenziosa dello scarno e tribale pattern ritmico si svincolano dalle rigide leggi del “piacere”.

Tranquilli, non sto vaneggiando, né purtroppo ho fatto abuso di sostanze allucinogene. Ho solo deciso, la sera di avantieri, di porre sul lettore del pc il nuovo lavoro di una one-man trentina, i Silent Carrion. Essendo poi, un appassionato di Drone da lungo tempo in astinenza, mi sono gettato a capofitto nelle spire mortifere dell’album, questo "Andras", di cui in rete avevo scorto pareri parecchio favorevoli. Opinioni a favore che mi ritrovo, nonostante la mia atavica dose di scetticismo, a dover con ossequio confermare, in quanto chi prima di me ha avuto l’occasione di recensire le otto tracce del Full-lenght, ha pienamente colto l’essenza ricca di qualità dell’opera. Ovviamente, tale discorso è rivolto a coloro i quali per predisposizione personale, per curiosità, per passione struggente, si sentono indissolubilmente legati alla religione della frammentazione. Simile ad altri oscuri progetti, (un esempio su tutti: i partigiani dell’anti-sintassi musicale Sunn O))), Silent Carrion sfugge a qualsiasi tentativo di porre sul suo dorso un’etichetta che riassuma con successo la sua proposta, senza dover colpevolmente tralasciare qualche elemento. Allo stesso modo la potenza espressiva del nostro trentino si specchia nello schizofrenico metodo compositivo, che intreccia indefesso ronzanti sei corde, pulsazioni di basso a frequenze a stento udibili dall’orecchio umano, drum-machine funerea, eteree parti di piano o di tastiera impegnate a costruire un’evanescente linea armonica la quale possa essere il contrappunto di una continua rivoluzione dei riferimenti a cui appigliarsi durante l’ascolto.

La “malattia” inoltre scardina il principio d’ordine, di avvicendamento fra gli strumenti, qui compenetrati gli uni dagli altri, agenti sullo stesso livello, a volte confusi, a volte drammaticamente chiari e distinti, ma sempre contraddistinti da una discreta rotondità e profondità, qualità profusa dalle mani sapienti del master-mind, mai davvero a disagio nel proporre le sue dissonanti aberrazioni mentali. Questa anomia in aggiunta permette ad "Andras" d’essere uno dei rari dischi liberi, assolutamente indipendenti, atti ad avere, anche in successione a ripetuti ascolti, poiché non si può, nemmeno se ad indossare le cuffie è un fruitore smaliziato ed esperto, attribuire una risposta a tutti gli interrogativi sollevati dall’opera in un tempo limitato, vita propria e pulsante.  Un album che si distacca da quella massa intravista all’inizio, affamata di scontate progressioni prima-quinta, di melodie che invece di scavare nell’animo, si depositano nello strato sub-cosciente della psiche.

"Andras" scivola oltre, abbattendo barriere e muri di cinta con la sua struttura asserpolata alle vostre paure recondite, rimosse, quelle debolezze che fin dall’infanzia si finge di non conoscere. Cercando un termine adatto, oserei definire il percorso che ognuno intraprende dando il via a "Mountain (An Invocation)" un “viaggio di formazione” diretto verso gli sconosciuti antri dell’interiorità, un confronto fra l’immagine esterna e lo specchio riflettente le ineludibili increspature, gli ineluttabili vuoti pneumatici dell’esistenza.

Recensione a cura di: Thanatos
Voto: 85/100


Tracklist:

1.Mountain (An Invocation) 07:29
2.Mist 01:51
3.Fear Spreads Like Plague 06:24
4.The Ground Seems Hollow 06:20
5.Echoes from a Deep Chasm 04:39
6.Copper 07:50
7.Suprematism (Sickness) 02:18
8.Krieg 08:28

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