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venerdì 27 aprile 2012

Umbra Noctis - "Il Primo Volo"

Full-lenght, Novecento Produzioni, 2012


Quando si giunge al traguardo del primo Full-lenght, se si è relativamente giovani, è di fondamentale importanza incidere nei solchi del proprio LP un tratto distintivo, un particolare che permette all’ascoltatore di comprendere che l’elaborazione dell’esordio, e di conseguenza la difficile scelta di esporsi tramite un lavoro articolato e complesso, non è frutto del caso, di una via per rompere il muro della paranoia che affligge puntuale la provincia italiana (e non solo…).


Altrimenti il destino non tributerà nessun tipo d’onore: all’anonimato, con la scusante di non aver ancora prodotto alcunché che possa esser soggetto di valutazione, seguirà il peggiore, bieco sentimento di averci provato, ma di aver più o meno miseramente fallito. A mio parere quindi, non v’è titolo più azzeccato de "Il Primo Volo" per delineare quanto i lombardi Umbra Noctis, focoso quartetto con all’attivo qualche uscita di minor entità (benché il valore assoluto di queste ultime fosse discretamente buono), suonano nel primo, maestoso mattone della loro carriera. Non si nascondono: non si può cantare di orgoglio, bisogno di rivalsa in un mondo che di eroi e valori sembra aver fatto pacificamente a meno, e poi non avere nel cuore il coraggio di esprimere il proprio sé nella sua totalità. Sono coerenti: se non leggessi dal sempre prodigo di informazioni Metal-Archievs che hanno le loro radici nel nord Italia, non stenterei a collocarli più vicino ai ghiacci della Norvegia, terra di immensi musicisti, a cui i nostri, velatamente, erigono un monumento, esplicato nei riff di chitarra, richiamanti le sinuose tracce melodice degli Immortal, (pensate a "At The Heart Of Winter" mentre fate scorrere "In Superficie"), i temi medievali ricolmi di onore cortese dei Satyricon, la funesta ira dei Mayhem (ascoltate il basso come tuona indefesso dal primo all’ultimo minuto), senza però rinunciare alle peculiarità del Black Metal italico, tanto da mettere in condizione il recensore di accostare il presente lavoro a gruppi quali i veneti Permixtio, i lombardi Mortuus Luna, i bellunesi (anzi, il bellunese) Ethere. Una generazione di validi scudieri della nera fiamma, con spiccato senso della composizione elegante, tuttavia mai ridondante o semplicemente alla ricerca della dissonanza maggiormente ardita.

La preparazione tecnica è indubbiamente, viste le suddette premesse, ben oltre la media: una voce in grado di emozionare, spaziando priva di difficoltà da un efferato scream alla Abbath, ad un morigerato graffiato nei brevi, ben collocati, recitati, fino al pulito denso di disperazione, spleen e malinconia; una chitarra poderosa, dinamica, che nonostante non rinneghi apertamente il galateo scandinavo (certe cose sono proibite dalla morale!), sfugge al classicismo con una certa leggerezza, come se avesse assimilato quanto è stato scritto nei vent’anni precedenti, lo consideri, ma non lo elegga ad unica divinità, ai cui piedi prostrarsi; una batteria varia, in perfetta o quasi sintonia con i colleghi di sala prove, morbida, violenta, semplice accompagnamento o protagonista assoluta, scevra da errori di sorta, pulita tecnicamente; infine un basso che sostiene la sei corde in quel modo indipendente così difficile da rilevare in un disco. Scomodo il paragone con il Conte Varg, allorché nominato amministratore del timbro del quattro corde dal fido compagno Euronymous: sfoderò una prestazione storica, costruendo, inoltre, l’oramai giustamente celebre giro di "Life Eternal". Melodia e ritmicità fuse, indistinguibili. 

Da ciò si evince che gli Umbra Noctis, seppur mantenendo (correttamente) visibili le influenze principali, una mossa che denota onestà intellettuale, non hanno paura di osare, anche quando inseriscono quella coppia di versi, inno al ritorno fra i “cari monti, perchè la patria nostra aspetta”, i quali, da menti plasmate dall’odio e dal nazionalismo becero, potrebbero essere letti come un proclama politico. Una visione distorta, che nulla ha da spartire con il vero significato, ossia l’amore profondo che i nostri, in questi non dissimili da ognuno di noi, provano verso la bellezza insuperabile della terra d’origine. Nessun cripto-fascismo o cripto-leghismo. Solo amore, amore puro, e sdegno, rivolto a chi quei territori non li comprende, li bistratta, non crede nel loro potere taumaturgico. A volte comprendo il grido di disilluso dolore del singer Filippo Magri. Ad un’opera, per definirsi tale, occorre anche una cornice. Ecco, quindi, giungere in aiuto al quartetto tricolore un’ottima produzione, nella veste di porre in risalto ogni suono emesso dagli strumenti, padroneggiati a dovere, dei lombardi. Non manca nemmeno una determinata attenzione all’ugola di Magri, trattata efficacemente, in modo tale da far cogliere all’ascoltatore le sfumature della sua interpretazione.

Infine, per concludere, un disco che sorprende nella sua integralità, colpendo chi si dovesse imbattere in esso dritto all’animo, per perizia tecnica, sentimenti, doti di composizione. Da "In Superficie" fino alla conclusiva "L’Ultima Notte", passando per il capolavoro "Oltre La Steppa", non v’è un momento in cui abbia tempo di nascere un abbozzo di noia o di stanchezza, segno che il gruppo si sta librando leggero in un cielo velato di inquietudini, nero opale. Per chi avesse perplessità sulla qualità del metallo estremo in Italia è consigliata la somministrazione forzata e continua. Buon volo Umbra Noctis, che il richiamo del vento non cessi di spronarvi.

Recensione a cura di: Thanatos
Voto: 78/100


Tracklist:

1.In Superficie 08:18
2.Solo 08:06
3.Oltre La Steppa 06:01
4.L’Attesa 06:58
5.Rovine 06:42
6.Umbra Noctis 06:10
7.L’Ultima Notte 05:31

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